L’importanza della consapevolezza e della formazione dei propri talenti.

UN PREREQUISITO PER ACCEDERE AL MONDO DE LAVORO.

Non c’è molta armonia, oggi, tra le Imprese e il Mondo Universitario. L’accusa è, da troppo tempo, la stessa: chi esce dall’Università ha una preparazione troppo teorica; mancano le soft skills quali, in particolare, il team working, il problem solving, la flessibilità, ecc… . Sul tema, sintetizziamo cosa hanno scritto, recentemente, alcuni esperti.

Carlotta Rizzo, psicologa del lavoro, suggerisce di puntare sul talento e sulla passione. Certo, è importante analizzare le lauree che offrono maggiori chanches (e forse quelle umanistiche oggi sono le più penalizzate) ma non rinneghiamo ciò che è nelle nostre corde. Affianchiamo però questa nostra scelta allo studio di quelle materie che sono indispensabili per accedere al mondo del lavoro. Detto in altri termini, seguiamo ciò che più ci appassiona ma non dimentichiamo che senza talune competenze, ad esempio quelle informatiche e linguistiche, non si va da nessuna parte.

Fabrizio Gerli, docente alla Ca’ Foscari, ricorda che voti alti, seppur positivi e competenze tecniche non bastano. Le aziende ricercano giovani con talenti trasversali quali adattabilità, accuratezza, capacità di lavorare in team, velocità decisionale. Non sono doti necessariamente innate anzi si possono apprendere e sviluppare magari utilizzando sessioni di attività e sport specifici. Pertanto questi debbono, in qualche modo, affiancare i percorsi di studio.

Paola Rebusco, docente alla Massachussets Institute of Technology di Cambridge, afferma che agli studenti italiani manca molto la creatività perche troppo “rinchiusi” nelle aule universitarie. Al MIT, anche per le facoltà più tecniche, vengono proposti seminari originali e distantissimi dai temi studiati e ciò aiuta ad aprire le menti. I fatti hanno dimostrato che si è rivelata una scelta vincente.

Emiliano Mandrone, economista, imputa alle Università la creazione di Laureati spesso individualisti e lontani dalla realtà lavorativa, con una discreta preparazione ma con insufficiente bagaglio umano e relazionale. Accade così che professionisti in teoria impeccabili si rivelino incapaci di gestire una relazione efficace e alla pari con i colleghi. Aprirsi a nuovi ambienti, frequentare culture, associazioni e gruppi aiuta a implementare la propria rete e, di conseguenza, migliorarsi.

Giovanni Pedone Lauriel, General Manager di Lee Hecht Harrison-DBM punta molto sulla tipologia di laurea e sull’organizzazione dei giovani neolaureati. Secondo il suo parere un corso di laurea prestigioso e buoni voti sono un ottimo viatico. Suggerisce, inoltre, di tenere un “diario di bordo” in cui raccogliere tutte le informazioni che possono essere utili (Società di selezione, corsi da frequentare, job meeeting da non perdere, contatti con chi può essere utile, ecc…). In questo caso la parla d’ordine è : “organizzazione” perché affidarsi al caso fa perdere tempo e , spesso, demotiva.

Giorgia Bucchioni, vicepresidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria sposa e promuove il concetto di multitasking. Contare su giovani che abbiano unito, nel loro percorso, lo studio a tirocini, esperienze lavorative a stage, è un indubbio valore aggiunto. È ovvio che ciò avviene se si crea collaborazione tra il mondo universitario e quello del lavoro ma possibili/probabili ostacoli non debbono diventare scuse. Il giovane che si impegna e si spende in questo senso da un indubbio segnale che, in sede di selezione, sarà positivamente valutato.

Luciana d’Ambrosia Marri, sociologa del lavoro afferma che, oggi, la priorità nel lavoro è la valorizzazione delle soft skills; purtroppo gli studenti ne ignorano l’importanza e le Università, che dovrebbero promuovere corsi ad hoc nei piani di studio, sono ancorate ad un’offerta didattica molto tradizionale e scarsamente attenta alle richieste del mercato.

(liberamente tratto da un articolo di Flora Casalinuovo, sito: attualità@mondadori.it).