GENERAZIONE Z

Ci sembrava che, ultimamente, alcuni/troppi (!?) genitori avessero toccato il fondo rispetto al proprio ruolo “parcheggiando” i figli davanti alla tv e permettendo loro, liberamente, l’utilizzo di iPad, playstation varie e/o altro.

Ma si sa, al peggio non c’è mai fine; ora li affidano anche a robot.

Lo afferma una nota studiosa inglese, Kathleen Richardson, insegnante di Etica e Robotica alla De Montfort University di Leicester, la quale ha osservato che i bambini, assuefatti da contatti duraturi con questi robot, incominciano a parlare e muoversi come loro. In altri termini, riducono o perdono la capacità di comunicare come esseri umani.

Per chi pensa sia un’esagerazione, due esempi.

In Cina è in commercio, prodotto da Avatarmind (un nome, una “minaccia”), iPal un robot umanoide che racconta favole e può rispondere ai continui “perché” dei piccoli. Se il principio può apparire buono, il risultato è catastrofico; come già scrisse Konrad Lorenz i bambini si comportano esattamente come le sue oche che lo scambiavano per il loro genitore. Lì il ruolo genitoriale è associato al robot.
In Giappone, dove il personale sanitario scarseggia, in taluni reparti dove si curano i malati di Alzheimer, è presente un robot denominato Paro che, unitamente ad altre macchine anch’esse opportunamente programmate, cerca di interpretare l’umore dei pazienti che, se percepiti tristi, vengono curati con giochi.

Forse la pensiamo da “vecchi” ma ci sembra che manchino, in entrambi i casi, aspetti valoriali irrinunciabili.
Quei bambini non avranno mai un punto di riferimento vero, che dia calore e trasmetta quelle piccole grandi cose che fanno crescere.
Quegli anziani saranno privati dell’empatia e altruismo che sono la base di un’efficiente assistenza infermieristica.
Queste nuove generazioni, purtroppo, perderanno le abitudini ancestrali del riunirsi, del discutere, del guardarsi negli occhi con l’obiettivo di conoscersi e aiutarsi, ovvero quell’essere sociali che ci ha permesso di diventare quel che siamo oggi

È molto triste.